FEM. IN Cosentine in Lotta

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  • Data

    31.05.2022

  • Categorie

    Interviste

  • Autore

    Convegno Salute

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Caterina Falanga ci racconta la storia del collettivo politico attivo sul territorio calabrese da Febbraio 2019 che si articola attorno a due concetti chiave: intersezionalità e aderenza al territorio.

Presentaci la tua realtà (com'è nata, perché, che valori ha, chi c'è dentro ecc.)


Siamo un collettivo giovane, nato nel 2019. Fem.In. sta per “Femministe intersezionale” ed a seguito dell’importante evoluzione del movimento cittadino cosentino, il quale da 15 anni fa un grosso lavoro sul territorio, composto da tante realtà che si sostengono a vicenda, si è sentita l’esigenza di offrire un’impronta strettamente transfemminista all’intero percorso. Sia per quanto riguarda i filtri con i quali si guarda alla società, alla salute, al lavoro ed ai diritti civili e sociali, in generale, sia poiché è forte l’esigenza in una Regione come la Calabria di sensibilizzare, educare e combattere rispetto i vari tipi di violenze alle quali sono sottoposte le donne, le soggettività non binarie  e le minoranze in genere. Partendo dai vuoti istituzionali e sanitari e quelli educativi, poiché il nostro primo compito è quello di denormalizzare l’assetto patriarcale e misogino che permea i vari ambiti della vita quotidiana. Siamo ragazzi e ragazze calabresi e proveniamo da diverse province della regione. 

 

 quali sono le 3 rivendicazioni prioritarie / i punti più importanti nella vostra lotta / nel vostro territorio

 

Il SSR calabrese è unico nel suo genere, ridotto ai minimi termini nel corso degli ultimi vent’anni, ad iniziare dalle riforme nazionali che hanno sancito quanto la sanità fosse una questione manageriale e dunque aziendalizzandola, fino a quelle che hanno interessato la Regione prevedendo il Piano di Rientro e la chiusura di 18 presidi ospedalieri che sarebbero dovuti essere riconvertiti in case della salute, il blocco del turn over, il depotenziamento dei presidi specialistici territoriali. L’unica Regione che vanta un commissariamento lungo undici anni al quale né le Istituzioni locali né quelle nazionali hanno intenzione di porre un rimedio, considerando l’inefficienza dello stesso e l’incrementare delle passività, dovute in primis all’emigrazione sanitaria aumentata del triplo rispetto il primo decennio degli anni 2000. Come realtà femminista che agisce sul territorio cosentino e regionale, le nostre principali battaglie riguardano

1)i percorsi di cura e prevenzione per le patologie femminili/di genere, (a partire dai consultori sprovvisti di figure specializzate ed anche dei piu’ basilari strumenti, a finire ai percorsi di prevenzione oncologica del tutto inesistenti),

2)la lotta al privato che negli ultimi anni ha preso piede in misura esorbitante, supportato dalla connivenza tra la classe politica locale e quella imprenditoriale, un connubio massomafioso che non vuole il risollevamento del nostro SSR.

3)l’abbattimento della visione ospedalocentrica che da un lato non vede investimenti circa la medicina territoriale e di prossimità, e dall’altro non risulta realmente supportata  in termini di organico e strumentazioni nelle aziende ospedaliere, in quanto molti ospedali subiscono chiusure di singoli reparti a cadenza giornaliera, ormai, o per malfunzionamento dei macchinari o per mancanza di personale.  Il caso di Cosenza è emblematico, quello dell’Annunziata è l’unico ospedale Hub di una delle province più grandi d’Italia in termini di estensione, con circa 750.000 abitanti, se si pensa che si ricorre al PS anche per situazioni che potrebbero essere trattate al di fuori dell’emergenza-urgenza, e che cittadini/e si  recano a Cosenza da paesi molto distanti mentre i soli due medici di turno non possono far fronte all’utenza, si può ben immaginare l’intasamento improduttivo dello stesso, motivo di negazione del diritto alla salute e dell’accesso alle cure nonché grosso fattore nella situazione inaccettabile che ogni giorno personale sanitario subisce. Il tutto mentre in città brulicano i servizi offerti dal privato poiché l’ospedale non è capace di adempiere in maniera completa ed efficiente alla richiesta sanitaria.


Quali sono le soluzioni che dovrebbero essere intraprese per realizzare queste 3 rivendicazioni prioritarie

In sintesi: 1)fine del piano di rientro e azzeramento del debito,
2)Riorganizzazione strutturale dell’offerta sanitaria, e quindi lo stop alla figura di un commissario di Governo (incompetente in materia sanitaria) e la riduzione ai minimi termini dell’ingerenza della  classe politica locale nella sanità, a favore della creazione di un sistema organizzativo integrato, in cui prevalga la presenza del  personale medico/sanitario,
3)massicce assunzioni per togliere piede al privato e per ridurre l’emigrazione sanitaria con una razionalizzazione (anche economica) delle strutture già esistenti, cioè l’istituzione di poli sanitari  diffusi ed a costo quasi zero.

Mi spiego meglio…


Nella fattispecie calabrese, in primo luogo si dovrebbe porre fine al Piano di Rientro procedendo all’azzeramento del debito, in quanto non è stato creato dai/dalle calabresi contribuenti, bensì da una classe politica che ci ha derubati/e anche dei nostri diritti fondamentali. In più c’è un’evidenza; nel 2010 il disavanzo in bilancio era di circa 200 milioni, mentre ad oggi il debito complessivo non è quantificabile ed anche la Corte dei Conti trova intraducibile la situazione dei numeri, considerando che solo le Asp di Reggio e di Cosenza toccano i 2 miliardi complessivi di contenzioso. A partire dalla fine del PDR, urge riorganizzare strutturalmente l’offerta sanitaria, ovviamente non affidandola ad un commissario ma trovando nuove formule che interessino tutto il territorio nazionale, considerando che in regioni come la Calabria la sanità non può più esser lasciata alla classe politica locale, ma ipoteticamente elaborando un sistema integrato nel quale lo stesso personale medico sanitario partecipi all’organizzazione in maniera attiva come primo filtro utile nella lettura dei bisogni della popolazione e del territorio. Inoltre, bisognerebbe procedere con massicce assunzioni al fine di diminuire la percentuale di strutture private e servizi accreditati con i SS, subentrati nel pubblico a causa della carenza del fabbisogno reale, ma anche per ridare vita a quelle strutture svuotate che sarebbero idonee ad ospitare presidi ospedalieri. In questo modo, lentamente, si andrebbe a ridurre anche l’emigrazione sanitaria, principale onere finanziario per la nostra regione specie a causa delle lunghissime liste d’attesa che violano i vincoli di legge. Nel 2018, infatti, la stessa mobilità passiva ha costituito una spesa di circa 319 milioni di euro per la Regione Calabria. Più assunzioni-più presidi pubblici, più presidi-liste d’attesa più corte, liste d’attesa ridotte-meno mobilità passiva, meno mobilità extraregionale-dunque meno sperpero di denaro. 
 

Una domanda di tipo strategico: come potrebbero le altre organizzazioni, che lottano per il diritto alla salute negli altri territori, aiutarti nel raggiungimento dei vostri obiettivi?

 


L’obiettivo è chiaramente quello di un cambio di passo strutturale e di una nuova manifesta volontà politica, il Sistema Sanitario deve ritornare ad essere realmente unico e nazionale, imparziale, connesso.  Pur tenendo conto delle singole criticità territoriali, ma ponendo in essere basi strutturate e solide che siano da incipit e guida comune. E’ essenziale fare rete con le altre organizzazioni in campo, sia per quanto riguarda la costruzione di un sapere forte e consapevole, sia per chiedere che cambi la vision e la mission generale sulla sanità. Al netto delle singole vertenze territoriali abbiamo visto, con la pandemia, quanto nessuna regione sia riuscita a far fronte all’emergenza, quanto il modello pubblico-privato sia stato fallimentare e motivo di morti evitabili, quanto alla fine dei conti il tutto si traduce in una negazione del diritto alla salute, seppur in gradi e declinazioni multiple. Utilizzando tutti gli strumenti possibili, da quelli agitatori a quelli normativi/istituzionali, si può agire affinché i tetti di spesa, la conta degli ingressi in PS, il numero di posti letto per le acuzie e le post acuzie non siano più gli indicatori vuoti da dover rispettare senza tener conto della vita della gente. 
 

cosa ti aspetti da questo congresso?



Siamo molto contente dell’iniziativa. Ci aspettiamo, come già avvenuto con la Rete Nazionale Sanità e gli/le amicx di Villa Tiburtina, di maturare visioni ed idee utili, campi d’azione, un sapere trasversale ed un mutuo soccorso circa la lotte specifiche, ma specialmente di porre le basi su  quei macrotemi che devono fungere da manifesto ad una rete realmente nazionale e partecipata, viste le diverse sfaccettature ed organizzazioni esplose con lo scoppio della pandemia. Crediamo sia essenziale discutere concretamente sulla stessa, senza vedere il fenomeno come caso singolo, analizzando l’ingerenza politica sull’aspetto sanitario, la salvaguardia della vita biologica nel contesto spietato del libero mercato, l’importanza della cura quotidiana rispetto alla singola prevenzione brevettistica, fino a mettere a fuoco dei modelli territoriali che siano inclusivi, efficienti e partecipati. 
 

Ottimizzare, costruire, avanzare, per una sanità su misura dei territori e della collettività.


 


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